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Shot#12: Curaro

Shot#12: Curaro

Una menzione speciale su Reggaeradio.it perché questa volta il mio #trigger non è di quelli prettamente reggae, anche se le tropical vibes del Caribe ci sono eccome.
Sto parlando di Curaro, l’ultimo lavoro di un signore che si chiama Go Dugong e che si diletta da tempo con le sonorità più disparate in giro per il mondo. Partendo da quello che è considerata world music, si arriva a coinvolgere anche le radici della musica roots, inserite in un panorama variopinto e ritmato da dio. Quello che fa Go Dugong con Curaro è realizzare una sorta di aquila reale musicale che spicca il volo e tocca le foreste dell’Amazonia, le Ande, gli stereo di Santiago. Poi si sposta all’Isola di Pasqua, risale in Messico e scene in Argentina. L’aquila di Go Dugong la trovi anche a Ibiza, sotto il sole a Barcellona, nei club di Singapore e a Okinawa. Con Curaro la voglia di scendere nel cuore della musica che da sempre lo ispira è palpabile e non sono esagerato quando dico che con questo disco si fa il giro del mondo.
Stando a tutte queste cose, ho voluto parlarne con Go Dugong e complimentarmi con lui.

Ciao Go Dugong, grazie per il tuo tempo. Posso chiederti che cosa significa il tuo nome? Vuoi presentarti ai lettori di Reggaeradio.it?

Il dugongo è un animale acquatico presente per lo più nelle acque dell’oceano indiano. Il nome arriva dalle mie prime sonorità che richiamavano atmosfere “sottomarine”. Il “Go” davanti rende il nome quasi onomatopeico. “GO – DU – GONG” mi ricordava il suono di percussioni.
Nel tempo la mia ricerca si è spostata più verso la world music, ma il nome è rimasto sempre lo stesso.

Come ti ho scritto, ho trovato Curaro un disco molto bello. Ci ho sentito le vibre dei sound system, i tamburi caraibici, ma anche le luci delle discoteche e delle serate che ti lasciano l’alba sul sorriso. Come è nato questo progetto e cosa significa per te e per il tuo percorso musicale?

In realtà, a parte i tamburi caraibici, non mi sono ispirato a nulla di tutto ciò, ma è bello sentirtelo dire. Non sono assolutamente partito con l’idea di realizzare un album per i soundsystem o per il dancefloor. Credo che Curaro sia soprattutto un disco per l’ascolto, ma se riesce a trasportarti anche in una danza non posso che essere contento. L’input iniziale di questo album è arrivato dal bisogno personale di ristabilire un contatto con la natura, con la terra e le nostre radici. Questa è stata l’ispirazione di partenza che poi mi ha portato alla scoperta di miti, leggende, credenze e pratiche tribali che spesso si incrociano anche con esoterismo e storie di uomini venuti dalle stelle. L’approccio è stato quello di voler creare una sorta di colonna sonora a un documentario immaginario su queste storie.

La tune Mextli è ovviamente la mia preferita. Ha un richiamo dub che quando l’ho sentita ne volevo una version con Hempress Sativa. Come e quanto ha inciso il reggae roots e dub nella tua produzione e ricerca?

Mai così tanto come in Curaro. Ho sempre ascoltato tanta dub e tanto roots ma sono generi che ho sempre avuto un po’ paura ad affrontare in termini di produzione. C’era il rischio di essere ripetitivo e di cadere nel banale; non sono mai riuscito a trovare il modo giusto per riuscire a far sentire il mio tocco e aggiungere la mia personalità, trattando questi generi ormai cucinati in tutte le salse. Su Curaro mi sono sentito di correre il rischio. La dub era un tipo di linguaggio che si sposava molto bene con il concept del disco. In quel periodo avevo in loop Super Ape e Return Of The Super Ape degli Upsetters sul mio stereo. Penso che siano i due dischi che mi hanno più influenzato in assoluto. Poi ho avuto una bellissima esperienza di funghi magici in mezzo alla natura: ero sdraiato sotto a un albero e sentivo ogni suono come se fosse filtrato attraverso uno space echo; è stato strano e meraviglioso allo stesso tempo, era come se la natura intorno a me stesse comunicando in quel modo. Diciamo che anche questa esperienza ha contribuito tanto alla scelta di inserire queste sonorità nell’album.

Prima di Curaro c’era Novanta, altro disco della Madonna (Madonna delle Guadalupe in certi casi).
Con Novanta il percorso era rivolto più alla strada, se consideriamo quello di Curaro più vicino a una foresta fitta. Come mai questo cambiamento? Si possono definire i due dischi complementari?

Assolutamente sì. Il primo, Novanta, coincide appunto con l’esigenza di vivere uno shock culturale che solo una metropoli con tutti suoi clash può darti. Il secondo, Curaro, è generato dall’esasperazione di questi stimoli di origine artificiale e dal bisogno di fare un passo indietro e ristabilire un contatto con la natura.
Riflettevo un po’ di tempo fa che ogni mio disco nasce dal bisogno di sfogare un’esigenza o di metabolizzare qualcosa che nella vita quotidiana per mille motivi faccio fatica a gestire.

Dove ti possiamo trovare prossimamente? Parte la promozione del disco? Dove possiamo seguirti?

Sto girando in formazione a tre (basso, batteria e io che curo tutta la parte elettronica e dubbing e suono alcune percussioni). Prossime date di Curaro dal vivo sono il 5 maggio all’Eremo di Molfetta (BA) e il 26 maggio al MIaMI (Circolo Magnolia, Milano). Mi trovate anche in djset da solo o con la mia crew Balera Favela, quasi ogni settimana in giro per lo stivale. Per restare aggiornati potete seguirmi sulla mia pagina Facebook oppure su Instagram @godugong.

Anche questo mese il #trigger di Reggaeradio è completo. Chissà quali novità ci selezioneremo per il mese di maggio!