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Ho promesso a Marti Stone che la prossima volta ci becchiamo in Africa

Ho promesso a Marti Stone che la prossima volta ci becchiamo in Africa

 

In occasione della mia intervista radio su FLATBUSH (ogni giovedì ore 21 www.reggaeradio.it) a Marti Stone ho deciso di scrivere su di lei per la classica rubrica di voci femminili su Reggaeradio.it E ci siamo anche dati un prossimo appuntamento ambizioso…

Marti Stone, artista di Lanciano da tempo però residente in Milano City, è decisamente Gyal Powder.
La prima volta che l’ho incontrata è stata in una serata piena di polvere e suoni. Non era un incontro fisico, bensì, come spesso accade e come è giusto che sia, è stato un incontro musicale, sonoro, esperienziale.
Ero in una delle mie solite nottate pazze a bere e pontificare con gli amici, finché la Francesca non mette su un mixtape da poco entrato a far parte della sua compilation da serata.
Era una bomba. Chiedo alla Fra di rimetterlo e rimetterlo ancora e poi le chiedo chi è questa Marti che canta e che tira fuori rime potenti, in un mix up di Reverie X Gavlyn X Lady Leshurr X Spice.
La Fra mi dice, e cito: “Minchia, è Marti Stone. Non la conosci?”
Gyal powder…

Successivamente, il secondo incontro musicale è stato a Minorca, Spagna.
Una volta l’anno mi prendo male e decido di passare un po’ di tempo salutare con i miei fratelli e insieme andiamo a Minorca a depurarci. In questi giorni di solito mi metto a correre tutte le mattine, raccontando a me stesso che infondo sono un bravo ragazzo.
Immerso nella polvere dello sterrato dell’isola, in cuffia pompo quel famoso mixtape e la voce di Marti mi accompagna nel mio percorso.
Sarà anche il suo riconoscere l’importanza della vecchia scuola (un feat. con Sab Sista per dire…), sarà il suo sperimentare i nuovi orizzonti della black music, sarà la sua attitudine Punk Rock (a 17 anni cantava e suonava la chitarra in questo ambiente…) ed è così che penso che sia per me arrivato il momento di conoscerla perché, cazzo, è #gyalpowder.

Quando l’ho invitata in studio a Flatbush durante la nostra seconda stagione, Marti era appena arrivata a Milano con un sacco di idee e progetti, molto focalizzata sulla musica e sul suono.
Abbiamo fatto una bellissima intervista, molto easy e spontanea e se prima mi piaceva musicalmente dopo quel nostro incontro newyorkese, mi è stata subito simpatica anche di persona.
Quello che emergeva dalla cantante abruzzese era una grande grinta, una testa sulle spalle e una voglia di migliorare sempre di più, liberandosi da quello che potesse impedirle di raggiungere i suoi sogni.
Milano non è una città facile. Offre molte opportunità, certo, ma è anche una splendida stronza che prima ti sposa e poi ti chiede gli alimenti, tradendoti ma specificando che ogni tanto se vuoi si può scopare.
Passa un anno abbondante. Flatbush entra nella sua terza stagione su Reggaeradio.it e Donald Trump ci sbatte fuori dagli USA. Torniamo a casa e girovaghiamo per l’Italia. Recuperiamo Milano come base e invitiamo Marti Stone per un’intervista, nuova, a Camogli.
Durante questo tempo, Marti ha lavorato molto.
Nella sua vita ha incontrato Bologna dove ha stretto legami con la brava MC Nill, Firenze, Roma (altra bella stronza…) ed ha sempre fuso insieme hip-hop, dancehall e trap. Senza rinnegarle mai.
Perché il percorso artistico è fatto di pezzi che si montano, non di rifiuti, secondo me.

Il futuro può sembrare una falsa promessa quando si è alla ricerca della propria identità senza accontentarsi e si è costretti a scappare dal posto in cui si è cresciuti per ripartire da zero.


Nel 2016 dopo le sonorità da Bossy, Marti segue una strada molto europea. Il suo rap è un po’ francese, un po’ inglese, un po’ nordico. Marti arriva tutta coperta, occhiale da sole d’ordinanza, anello al naso™, e con la voce un po’ giù per via del vento. 
La prima novità che le chiedo durante il nostro incontro ligure è Hoola Hop Agency, l’agenzia di cui è entrata a far parte. Mi racconta che si tratta di una realtà milanese interessata a promuovere arte e artisti, scegliendo accuratamente i soggetti da promuovere e lavorando molto bene per rendere l’arte un’esperienza e non una merce. Insieme hanno fatto un evento “casereccio”. Lavorando con una realtà chiamata Comehome! L’11 dicembre del 2016 c’è stato un secret live di Marti a Milano, a casa di gente, in clima super easy, dove i fortunelli hanno potuto sentire la ragazza rappare e proporre fresh tunes, seduti comodamente sul divano. Live.

Non so se mi sono spiegato bene, ma Marti è una così. Una che a casa ci viene, che prova e fa esperimenti, che rappa seduta al contrario su una sedia, senza menate.
Mi racconta che a novembre ha lavorato con un ragazzo super bravo, Steven Vuitton, originario della Costa D’Avorio, fermo in Italia in uno dei tanti centri dove queste persone in fuga da una terra o da una realtà ingiusta e inadeguata, vengono letteralmente parcheggiate. 
Mi racconta che per registrare il singolo NIENTE IN COMUNE/ RIEN EN COMMUN ci ha messo solo quattro giorni, a discapito di tutto il tempo fottuto e gli sbattimenti investiti per relazionarsi con il centro e permettere a Steven di fare rime, di emergere, di avere una possibilità in questo dannato paese. Il singolo, ovviamente è una bomba.
Alle produzioni di Marti ci sono Pankees e Edo Marani. In più, lei mi dice con somma gioia che ha ripreso a comporre e a farsi “i cazzi suoi” i termini musicali, per poter lavorare al suo prossimo album anche con band, strumentazioni e prepararsi per un bel giro di live.
Però, su Edo Marani, mi si apre un mondo.
L’ultimo singolo prodotto dal noto Dj è infatti CLICK N LIKE ME, di cui c’è anche il video, descritto come una parodia della digitalizzazione dei nostri tempi e custodisce un senso di incanto e nostalgia verso l’estetica e la cultura di un recente passato. Nel video infatti si sprecano salvaschermi di Windows, bit, delfini e nella tune si parla di post, di social, di come ci si perde via.

Perché sì, ci si perde via.

L’uso che Marti fa dei social è molto particolare, europeo direi. Questo perché non mi vergogno a dire che in Italia troppo spesso si usano come uno strumento per esternare le proprie idee e i propri pensieri, in modo molto egocentrico, pensando che se si è al centro della situazione si è automaticamente ascoltati, si conti qualcosa. Marti Stone invece non passa il tempo sui social a raccontarci la rava e la fava, ma è sempre mirata. Mirata a un fine, a un percorso che va da A a B e che può essere lungo (come l’uscita del suo prossimo disco che sarà nel 2017 inoltrato) o breve, come l’uscita di un nuovo video o di una data.
No chatty chatty, le dico alla giamaicana e lei ride, sorride e approva. 
Anche i video sono molto belli. Da quelli più hardcore a quelli più recenti, la cura sull’immagine e sulle location mi hanno sempre lasciato una ottima impressione. L’occhio cura, lo stile c’è e anche questo è #gyalpowder.

Però.

Però, detto tutto questo, che va bene, c’è un però.
E lo dico subito a Marti che mi guarda seria, interessata.
La tune Click and Like Me ha un bel testo, un bel video, ma ha soprattutto un sound e un flow che romperebbe il culo persino alla fottuta Cosa dei Fantastici Quattro.
Si torna indietro, si va in California, si va a Brooklyn, si va dove il suono della black music è re indiscusso. Marti va alla corte della vecchia scuola e con questo pezzo mi riporta sui binari di Mistaman, Frank Siciliano, un Torme dei tempi d’oro, il mai dimenticato Primo Brown. Con la grinta e la voglia di Gavlyn, il canto melodico, la base che rulla come se fossi su una cadillac, Marti Stone e Edo Marani ti fanno sentire libero. E questo non è solo #gyalpowder, ma è anche qualcosa che ci piace. Moltissimo.

Prima di salutarci, Marti mi spiega che usciranno un po’ di brano free per preparare il pubblico al mood del prossimo disco. Poi uscirà l’album e per promuoverlo farà un viaggio americano, a Los Angeles per imparare, studiare, esibirsi e cimentarsi con la scena del posto. Nella città degli angeli per vedere come si vola. Mi viene in mente questa frase e penso ci stia tutta.
Dagli ultimi due singoli che sono usciti già so che stiamo per entrare in una nuova fase, una fase che guarda fuori, che guarda alle origini e che aggiunge il famoso tassello a tutto quello che c’è stato prima. 
Le dico che non vedo l’ora di ascoltare il suo lavoro e lei mi risponde che quando sarà pronto me lo porterà in studio per un’altra intervista a Flatbush.
Sì, ma dove.
Dove saremo noi prossimamente?

Potremmo vederci in Africa” propone Marti “Potremmo andare laggiù e scoprire un sacco di musica figa, incontrare gente davvero spessa e viverci il suono direttamente dal ventre che l’ha partorito…”

Ottima idea, cazzo.
Me lo segno sull’agenda delle promesse che vanno mantenute. A tutti i costi.

thanks to Marti Stone and Hoola Hop Agency per foto e materiale.

 

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