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Alan Maglio racconta la sua “Asmarina”

Alan Maglio racconta la sua “Asmarina”

Sono cresciuto a Milano, da sempre nei pressi del quartiere di Porta Venezia dove da, quando ho memoria, vive una ricca ed energica comunità originaria del Corno d’Africa. Non è storia recente quella dei bar e ristoranti habesha, bensì storia di retaggio coloniale che parte dagli anni ’70 e arriva in pace, senza troppe tensioni con la città, fino al 2008 quando un giovane di 19 anni, Abdoul Guiebre detto Abba, venne inseguito e ucciso a sprangate da due baristi che lo accusavano di aver rubato un pacchetto di biscotti. La situazione rientra, ma non viene dimenticata. Così come non vengono dimenticate le fughe dalla guerra civile tra Etiopia ed Eritrea e, successivamente, dal regime sanguinario eritreo che intorno agli anni ’90 induce alla fuga ogni mese in 5 mila su una popolazione totale di 5 milioni di persone. La situazione attualmente è molto cambiata, ma di recente, anche purtroppo per merito di una certa propaganda elettorale becera, si è tornati a parlare del passato coloniale dell’Italia nei confronti di terreni e territori legati a doppio filo con la musica e la cultura reggae. L’8 marzo, durante la festa della donna, il movimento femminista Non Una Di Meno ha imbrattato la statua di Indro Montanelli per riportare l’attenzione sulla questione del “madamato” e su tutta una piega oscura del paese di “brava gente”, come si è soliti chiamare gli italiani all’estero. Brava gente poi non così tanto, a giudicare dai fatti, ma non è questo il punto. A volte, essere italiani di altra origine significa diventare custodi dei ricordi e dell’eredità della comunità di origine. Per questo, Medhin Paolos insieme al fotorgafo e appassionato di archivi Alan Maglio ha diretto nel 2015 un documentario sulle sfaccettature della comunità habesha di Milano. In occasione delle Elezioni Europee del 23/26 maggio, Reggaeradio.it ha intervistato proprio Alan Maglio sul documentario Asmarina, con la non troppo velata finalità di raccontare e informare i nostri lettori e chi avrà voglia di ampliare le proprie vedute su fatti e ricordi che ci riguardano da molto vicino.


Ciao Alan, grazie del tuo tempo.
Ci vuoi raccontare un po’ di questa esperienza chiamata ASMARINA, il tuo film che mi sembra abbia avuto un notevole successo e che parla della comunità africana a Milano.

Si tratta di un lavoro scaturito dalla voglia di raccontare la comunità eritrea/etiope presente in Italia a partire da Milano. Dopo anni di frequentazione ho sentito che era venuto il momento di mettere insieme le energie e addentrarsi nel racconto di questa comunità legata all’Italia sin dall’epoca coloniale. Insieme a vecchi e nuovi amici (Medhin Paolos, Federico Giammattei, Walter Marocchi) si è formata una piccola crew che per un anno e mezzo ha lavorato al progetto, raccogliendo testimonianze e documentando i momenti di vita sociale. Un percorso entusiasmante che è continuato anche dopo l’uscita del film nelle moltissime proiezioni che sono state organizzate o nei festival che ci hanno invitato a presentare Asmarina in Italia, in Europa e persino negli Stati Uniti.

Qual è stata la parte più complicata del tuo lavoro per realizzare il film? Come ha accolto la comunità questa ricerca storica/sociale?

Abbiamo girato 65 ore di materiale per montare meno di 70 minuti di film, cercando di raccontare la storia della comunità del Corno d’Africa in Italia dall’epoca coloniale ai giorni nostri… scegliere cosa inserire è stata una impresa davvero complessa! Per questo la bravura del montatore (Walter Marocchi) è stata fondamentale: Asmarina tocca tanti argomenti senza approforndirne alcuno in modo esaustivo, anche perché non era quella la nostra intenzione. Mi piace pensare che altri possano prendere spunto dalle nostre mancanze e proseguire la ricerca con nuovi film e nuovi percorsi artistici sul tema. La comunità ha accolto questo lavoro accompagnandoci in ogni tappa del nostro percorso, posso dire che abbiamo trovato appoggio e disponibilità. Anche qualche opposizione da parte di chi è legato a certe fazioni politiche eritree filo-governative, ma è un aspetto che non ci ha bloccati. Nella maggior parte dei casi con le persone coinvolte si è riusciti a mantenere aperto il dialogo.

Recentemente la vicenda della statua di Montanelli ha riportato il dibattito su temi che tendono a essere dimenticati e mai approfonditi dalla società civile italiana. Parlo ovviamente del colonialismo e delle varie pratiche tipiche di quel periodo come il madamato. Cosa emerge al tal proposito dal tuo racconto e dalle vicende da te raccolte in Asmarina?

Il film inizia con il racconto del direttore nazionale di ANRRA, l’Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati dell’Africa, che è stato un diretto testimone dell’epoca coloniale, trovandosi in Somalia alla fine degli anni ’30. Per parlare di un periodo che non si è vissuto, se è possibile cerco sempre di rintracciare le memorie di chi l’ha attraversato di persona. Così è stato anche per questo protagonista di un epoca controversa come quella che ha visto il colonialismo italiano di marchio fascista lasciare la sua impronta in Africa. Ho pensato che fosse importante offrire agli spettatori una testimonianza del genere, lasciandoli liberi di riflettere personalmente. Come raccontavo prima, Asmarina estende il suo racconto su un periodo storico molto ampio, con la comunità habesha in Italia al centro del discorso. Per questo non abbiamo potuto approfondire molti del periodo coloniale, da quale però non potevamo prescindere come punto di partenza.

Cosa abbiamo lasciato in Etiopia, Eritrea e Somalia? E cosa continuiamo a lasciare in quei territori? Vedendo il tuo film mi sono chiesto se il colonialismo italiano in Africa sia davvero storia passata, perché non mi sembra proprio…

Come dicevo poco fa, per me è difficile rispondere a una domanda su che tipo di eredità culturale sia stata lasciata da generazioni precedenti in luoghi in cui non (ancora) avuto l’opportunità di raccogliere anche solo un’impressione. L’unica cosa che mi sento di dire è che pensare al colonialismo come un fenomeno circoscritto a un’epoca specifica è un’idea piuttosto parziale. In un quadro più ampio è possibile notare quanto siano forti e vive che le influenze politiche, economiche, sociali e culturali di alcune zone o paesi del mondo su altri. Molto spesso la propaganda di una specifica identità culturale è uno strumento al servizio del funzionamento di sistemi economici legali o illegali, e a volte questi sistemi possono anche essere duramente coercitivi.

Al contrario, invece, cosa lasciano e cosa continuano a lasciare i gruppi e le comunità dell’Africa in Italia e in particolare a Milano?

I gruppi e le comunità che si installano in luoghi di nuovo approdo forniscono inevitabilmente un contributo alla costituzione del luogo stesso. Per questo mi sento di dire che le comunità africane nel corso dei decenni hanno contribuito a costruire Milano e l’Italia, sia a livello pratico che a livello simbolico. Per questo non dovrebbero essere escluse dalla crescita sociale alla quale contribuiscono, anzi dovrebbero godere dei benefici dell’inclusione. Quasi sempre però la politica anziché praticare percorsi virtuosi e costruttivi tende a dividere le persone e a metterle in conflitto, purtroppo è doveroso ammettere che in Italia n questo siamo maestri.

Il film è targato 2015, ma sembra essere sempre molto attuale. Come è stata accolta la pellicola in Italia e nei festival internazionali?

Abbiamo prodotto un film indipendente semplicemente con le nostre forze, senza avere alle spalle una produzione effettiva. Per questo ancora di più i risultati raccolti sono stati positivi al di là di ogni aspettativa. Il film è stato proiettato in festival di cinema in Italia e all’estero (il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano e il Festival di Internazionale a Ferrara, giusto per fare due esempi nostrani), il circuito delle Università e dei centri culturali ha supportato la nostra ricerca in modo molto forte (siamo stati alla Goldsmiths di Londra e gli USA ad Harvard e Yale, presentati nientemeno che da Angela Davis). Ma il ricordo delle prime proiezioni milanesi resta un momento molto speciale per me: la gente ha risposto così calorosamente che la prima sera al cinema si è dovuto proiettare il film due volte di fila per permettere la visione alle persone rimaste fuori per esaurimento posti. Non mi sarei mai immaginato una partecipazione in tale misura!

Quale è stata la cosa più incredibile che hai scoperto o che sei venuto a conoscenza durante le riprese?

Che fino al 1991 per 17 anni si sono svolti a Bologna i convegni estivi del Fronte per la Liberazione dell’Eritrea, con l’organizzazione di un festival che ogni anno vedeva presenti oltre diecimila eritrei giunti da varie nazioni europee, africane e persino dagli Stati Uniti. Confluivano a Bologna dal mondo per supportare la causa dell’indipendenza del paese e discutere l’andamento delle attività di guerriglia e il tutto accadeva in spazi concessi gratuitamente dal comune (data la coincidenza dell’orientamento politico del movimento eritreo e le idee filo comuniste del tessuto sociale emiliano. In quello che oggi è il Teatro Europa) dove abbiamo girato alcune parti del film e negli spazi adiacenti si riuniva una moltitudine di persone pronte ad assistere quotidianamente a concerti e dibattiti. Al raggiungimento dell’indipendenza Bologna è rimasta nel cuore degli eritrei come luogo-simbolo, ancora oggi ad Asmara molte attività commerciali portano il nome di “Bologna” in memoria di quegli anni.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Di quali altri temi ti occuperai prossimamente?

Sto lavorando a un progetto editoriale su un fondo archivistico del quotidiano La Notte, incentrato sulla fotografia di cronaca nera a Milano e in Italia dagli anni 50 agli anni 80, questo lavoro prosegue da circa due anni e saremo pronti per l’autunno 2019 con un libro intitolato “Ultima Edizione”. Inoltre sto sperimentando moltissimo con il collage, la mie stesse fotografie diventano palcoscenici in cui allestire scenari interiori.

Visita il sito: di ASMARINA e quello di ALAN MAGLIO per saperne di più.